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Dicembre 19, 2023

L’importanza della retribuzione non monetaria: i Fringe Benefit

Sai cosa sono i fringe benefit? Ce ne parla, in questo articolo, Fabio Manzo, Senior Hr Specialist e nostro docente nel Master in Amministrazione delle Risorse Umane.
Tradizionalmente, erano considerati tali i pochi benefit concessi ad una cerchia ristretta di dipendenti, quali ad esempio auto o alloggio forniti dall’azienda. Con il passare del tempo, poi, hanno iniziato a diffondersi anche altri strumenti, quali, ad esempio, i buoni spesa, i voucher di particolari negozi, anche non alimentari, e, con alcune peculiarità, il rimborso degli interessi sui mutui e i buoni benzina, nonché, per recente previsione (come nel seguito specificato) il rimborso delle utenze domestiche (luce, gas, ecc.).

Da una lettura del Codice Civile osserviamo che:

L’art. 2099 comma 3 indica che il prestatore di lavoro possa essere pagato in tutto o in parte “con prestazioni in natura”. L’art. 51 comma 3 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito (cd. TUIR) specifica, poi, che non rientrano nel reddito da lavoro dipendente le retribuzioni legate al “valore dei beni ceduti e dei servizi prestati” ed erogati dal datore di lavoro nei confronti dei propri lavoratori, entro il limite di 500.000 Lire annui (oggi pari ad € 258,23). La medesima norma, inoltre, aggiunge che, se tali forme di retribuzione superano questo limite, non è solo l’eccedenza rispetto alla soglia di cui sopra a rientrare nel reddito del lavoratore e su cui, dunque, vengono calcolati (e trattenuti allo stesso) contributi e tasse, ma è l’intero valore ad essere assoggettato.

E’ questa la nozione di Fringe Benefit.

Perché le retribuzioni in natura, i fringe benefit, come li abbiamo appena denominati, stanno diventando sempre più importanti e sono sempre più spesso protagonisti dei servizi dei telegiornali e dei salotti dei programmi di attualità e dibattito che guardiamo ogni giorno in TV?
Prima di tutto, le retribuzioni non monetarie stanno assumendo un ruolo centrale per la maggiore attenzione che c’è verso le iniziative di welfare aziendale; infatti, sempre più spesso, in fase di selezione non è più solamente il pacchetto economico a guidare la scelta del candidato, ma anche tutti i benefit aggiuntivi che il datore di lavoro offre e la cui percezione del valore è soggettiva e può cambiare anche in maniera consistente da persona a persona, a seconda della condizione personale ed, eventualmente, di quella familiare del singolo soggetto. Ancora più rilevanza per i fringe benefit si è poi avuta negli ultimi anni quando, a causa prima del COVID e successivamente della crisi energetica seguita alla guerra tra Russia e Ucraina e che ha fatto schizzare in alto i prezzi di beni e servizi e ridotto drasticamente il potere di acquisto delle famiglie, anche lo Stato è intervenuto sul tema, derogando temporaneamente alla norma del TUIR richiamata nell’incipit, e generando, di fatto, un incremento significativo del ricorso a tali forme di retribuzione per i lavoratori. La chiave di lettura di tali interventi, soprattutto così ripetuti, ma al contempo disorganici, come si vedrà meglio nel seguito, deve essere data considerando anche che per lo Stato aumentare le soglie di retribuzione esente significa avere meno imponibile su cui calcolare il gettito fiscale; ciò significa meno entrate e potenziale aumento del debito pubblico.

Ma ripartiamo con ordine e cerchiamo di comprendere quali sono stati i provvedimenti messi in atto e come gli stessi si sono susseguiti nel tempo.

La pima azione, in tal senso, è stata il raddoppio del limite annuo esente, passato ad € 516,46 per il 2020 (con un Decreto Legge emanato in Agosto); la medesima scelta è poi stata replicata, anche se con qualche mese di ritardo, per il 2021, con un Decreto Legge di fine marzo. Ancora più movimentato, invece, è stato il 2022, anno in cui il limite soglia è stato aumentato prima ad € 600 ad agosto, per poi passare ad € 3.000 solo a metà novembre. Infine, nel 2023, dopo mesi in cui sembrava che fosse stato fatto un passo indietro, con il limite riportato indietro ad € 258,23, si è scelti a luglio di procedere in maniera differenziata, modificando la norma originaria solamente per coloro con figli a carico, per cui la soglia viene aumentata ad € 3.000.

Il mantenimento della doppia via, creato per venire incontro alle famiglie, in considerazione del fatto (non secondario) che non vi erano secondo i tecnici le coperture economiche per finanziare l’aumento della soglia per la generalità dei lavoratori anche per il 2023, ha creato, in primo luogo, una disparità tra lavoratori, in presenza di piani welfare che potrebbero non necessariamente prevedere una connotazione del fringe benefit così vicina a quella di beneficio principalmente per le famiglie (ad esempio, il buono per la spesa alimentare potrebbe essere più vicino alle famiglie, rispetto al buono per una gioielleria o per altri negozi che trattano beni non primari).
Inoltre, la norma ha creato qualche problema in merito alla dichiarazione che il lavoratore deve fornire al proprio datore di lavoro per richiedere l’innalzamento; infatti, la connotazione di familiare a carico, che fino a qualche anno fa era sempre nota al datore di lavoro per il riconoscimento delle detrazioni di imposta, con il loro superamento da parte dell’Assegno Unico, pagato direttamente da INPS, ed introdotto nel 2022 è diventata un’incognita e il datore non può fare altro che fidarsi di una dichiarazione (che peraltro la norma non specifica in che forma, ma, in compenso, ribalta sulle aziende l’onere di conservare tale dichiarazione per gli eventuali controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate). Tale meccanismo di fiducia era diventato ancora più traballante quando lo scorso ottobre l’Amministrazione Finanziaria aveva chiarito che il datore di lavoro avrebbe dovuto riportare i dati dei familiari a carico sulla CU già a partire dal modello che verrà trasmesso il prossimo marzo per consentire l’effettuazione dei controlli anche in merito all’applicazione del corretto massimale dei fringe benefit, anche se questo dato non è più nella disponibilità delle aziende, come appena ricordato.

Fortunatamente, però, si è subito tornati indietro specificando che la compilazione di tale sezione della CU è solo facoltativa, e ciò in seguito ad una lettera che il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro ha inviato all’Agenzia stessa per sottoporre i propri dubbi.

Parallelamente, in questi stessi anni è anche cambiato il perimetro degli strumenti rientranti nel perimetro dei fringe benefit, in particolare in merito a due fattispecie. La prima è quella dei buoni benzina; infatti, la su citata crisi energetica ha, tra l’altro, fatto aumentare vertiginosamente il prezzo del carburante.

A partire dal 2022, è stato previsto che fosse scorporato dal calcolo del limite già previsto per i fringe benefit l’importo dei buoni benzina, fino al limite di 200 € annui che, quindi, erano esenti, ma senza intaccare la soglia dell’art. 51 comma 3 del TUIR. In realtà, nel 2023 si è però riscontrata un’anomalia rispetto ad un principio cardine per chi fa questo mestiere, ovvero l’armonizzazione degli imponibili previdenziali e fiscali. Infatti, la norma che ha esteso anche per quest’anno l’esenzione di 200 € per i buoni benzina, ha chiarito che, per l’anno corrente, tale esenzione fosse solo fiscale, ma non contributiva. E si noti che tale esclusione incide non solo sui lavoratori, ma anche e soprattutto sui datori di lavoro che devono pagare su tali importi i contributi a proprio carico (pari circa al 30% del valore). La seconda fattispecie oggetto di modifiche è il rimborso delle utenze domestiche; anch’esso è diventato cruciale nel periodo di crisi energetica, a causa dell’aumento dei prezzi di luce e gas. Infatti, è stato introdotto nel perimetro dei fringe benefit, e ne segue tutte le regole fin qui descritte, dal 2022.

Poiché fin qui ci si è sempre trovati ad inseguire le norme mutevoli, è opportuno far notare che nella finanziaria di quest’anno si sta pensando di modificare in maniera strutturale il TUIR; in primis, il valore soglia dovrebbe essere portato ad € 1.000, prendendo consapevolezza che il precedente di € 258,23 non è più congruo rispetto al costo della vita e alle esigenze dei lavoratori, soprattutto nell’ottica di incentivazione delle politiche di welfare. Inoltre, dovrebbe essere confermata anche la differenziazione del limite tra lavoratori con e senza figli a carico che entrerebbe definitivamente e stabilmente nel nostro ordinamento giuridico.

Questi ed altri argomenti sono approfonditi nella prossima edizione del Master in Amministrazione del Personale, in partenza a marzo 2024.

Articolo di Fabio Manzo – HR Specialist

 

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